La Big Tech è accusata di avere pagato miliardi di dollari ad altre aziende per avere la garanzia di essere il principale motore di ricerca su smartphone e browser
Google ha agito illegalmente per mantenere il monopolio dei motori di ricerca online. Lo ha stabilito il giudice federale Amit Mehta, della Corte distrettuale del District of Columbia, in una sentenza di 277 pagine che condanna il gigante hitech per la sua posizione dominante. Ad avviare la causa per violazione delle norme antitrust erano stati il dipartimento di Giustizia e vari Paesi che avevano accusato Google di avere pagato miliardi di dollari ogni anno ad altre aziende, come Apple e Samsung, per avere la garanzia di essere il motore di ricerca di default su smartphone e browser. “Google è un monopolista ed ha agito come tale per mantenere il proprio monopolio”, ha affermato il giudice.
Il processo
La decisione del giudice Mehta arriva quasi un anno dopo l’inizio del processo che ha contrapposto il Dipartimento di Giustizia statunitense a Google nel più grande scontro antitrust negli Usa in un quarto di secolo. L’azienda quasi certamente farà appello contro la decisione, in un procedimento che alla fine potrebbe arrivare alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Per ora, la decisione dà ragione al dipartimento di Giustizia che ha intentato la causa contro la Big Tech quasi quattro anni fa, quando Donald Trump era ancora alla Casa Bianca e ha intensificato i suoi sforzi durante l’Amministrazione Biden. Il caso ha descritto Google come un bullo tecnologico che ha metodicamente ostacolato la concorrenza per proteggere il proprio motore di ricerca, diventato il fulcro di una macchina pubblicitaria digitale che l’anno scorso ha generato quasi 240 miliardi di dollari di entrate. Gli avvocati del dipartimento di Giustizia hanno sostenuto che il monopolio di Google gli ha permesso di applicare prezzi artificialmente elevati agli inserzionisti, potendosi anche permettere un approccio lassista nel miglioramento della qualità del motore di ricerca e danneggiando così i consumatori.
La replica di Google
L’azienda informatica ha puntato a ridicolizzare le accuse, osservando che i consumatori hanno storicamente cambiato motore di ricerca quando sono rimasti delusi dai risultati che stavano ottenendo. Ad esempio, Yahoo, ora un attore minore su Internet, era il motore di ricerca più popolare negli anni ’90 prima che arrivasse Google.
Cosa succederà
La conclusione del giudice Mehta apre ora un’altra fase per determinare quali tipi di cambiamenti o sanzioni dovrebbero essere imposti a Google per invertire il danno fatto e ripristinare un panorama più competitivo. Il potenziale risultato potrebbe essere un ordinanza di ampia portata che richieda al colosso del web di smantellare alcuni dei pilastri del suo impero o impedirgli di sborsare più di 20 miliardi di dollari all’anno per garantire che il suo motore di ricerca risponda automaticamente alle query su iPhone e altri dispositivi connessi a Internet.
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