Il barman usò il telefono della vittima per rassicurare diverse persone: il telefono non è mai stato trovato
Rischia l’ergastolo Alessandro Impagnatiello, accusato di aver ucciso con 37 coltellate, incinta al settimo mese di gravidanza, dopo essere stata avvelenata per mesi, Giulia Tramontano. L’autore del gesto efferato, Alessandro Impagnatiello, è la “banalità del male” e lucido “scacchista” e “manipolatore” o un “ragazzo normale” che “voleva tutto” ed è stato travolto da un “crollo improvviso”, secondo l’accusa.
A poche ore dalla sentenza ripercorriamo la storia del femminicidio di Senago, e in particolare del depistaggio tentato da Impagnatiello dopo il delitto. Dopo l’omicidio il barman si appropria del telefono della compagna Giulia Tramontano e parte il primo messaggio all’amante di lui, che nel frattempo si è preoccupata e ha chiesto se stesse bene. Poi messaggi di rassicurazione, imitando addirittura lo slang di Tramontano (che chiama sua mamma “madre” e le amiche “zia”, vengono indirizzati a parenti e conoscenti stretti. Alle 21.52 parte l’ultimo messaggio. Dalle 22.25 il telefono risulterà spento per sempre. Non è stato mai ritrovato. Dalle 22.23 alle 00.30 il barman comincia a tempestare la collega-amante di messaggi. “Voglio definitivamente mettere un punto e chiarire tante cose. Non posso passare per ciò che non sono. Basta. Ho bisogno di vederti non ce la faccio più, perché sono distrutto, voglio anche io ritrovare la pace”. Cerca di convincere la ragazza a incontrarlo. “Ti devo parlare. Ti aspetto sotto casa o passo a prenderti. Decidi tu”. Dov’è Giulia? – chiede lei. “Sta dormendo” e “verrà domani”, le mente per l’ultima volta. Le chiede di essere ascoltato “e basta” perché “hai finito poi. Promesso non ti infastidirò mai più”.
Alle 23.29 i due fanno una videochiamata. La ragazza è preoccupata e chiede di vedere Giulia e l’appartamento (già ripulito). Prima le dice che sta dormendo nel letto, poi che si trova da una sua amica e inventa un nome. Alle 00.19 Impagnatiello esce di casa e si reca in viale Certosa sotto la casa di lei che non gli apre perché lo vede “agitato” e “sudato”. La ragazza ha “paura”. Parlano dalle inferriate. Dice che “non ci saranno più ostacoli alla loro relazione” e insiste che il figlio non era suo ma frutto di una relazione occasionale della compagna con disturbi psichici. Rientra alle 3.14. Riesce alle 3.22 con un lenzuolo arrotolato. Nella notte, probabilmente, sposta il cadavere nel box e gli dà fuoco per la seconda volta.
Domenica 28 maggio. Alle 7.08 del mattina prende la macchina per andare a lavoro con lo zaino e 2 sacchetti. Alle 7.50 scrive alla fidanzata morta “sono arrivato a lavoro”. Quel giorno alle 16.52 la collega nota dei guanti in lattice uscire dal suo zaino. Domenica, secondo pomeriggio. La mamma di Impagnatiello, Sabrina Pauilis, cerca Giulia da tutto il giorno. Fa irruzione nell’appartamento e nota che la ragazza non c’è ma la borsa è lì. Pensa a un “brutto gesto”. Chiama il figlio che “urla” al telefono “dov’è? dov’è?”. “In casa non c’era sangue, ma c’erano delle goccioline nelle scale”, dice la signora in aula. Tranne una macchiolina. Gli chiede: “E’ sangue?”. Risposta: ’Sì, ma sarà di un insetto, che schifo'”. L’uomo viene di fatto costretto dalla madre ad andare dai carabinieri. Ore 18.30. Sporgono denuncia per persona scomparsa attivando il Piano della Prefettura. Dalla caserma telefona alla mamma della fidanzata, Loredana Femiano, in Campania: “Dov’è tua figlia?”. I militari vanno a casa in piena notte. L’allora 30enne scrive un messaggio alla madre. “Non dirgli che ho il box”, giustificandosi con la paura che gli scoprano piantine di marijuana.
Lunedì 29 maggio. Alle 9.55, al mattino presto, esce dal lavoro e rientra a casa. Alle 12.30 sposta il corpo dal box. Il fratello, Oscar Paolo Impagnatiello, rientra nell’abitazione. Lo trova “che sta spazzando il pavimento” ed “era sudato. “C’era un odore di bruciato intenso, non come se fosse carta. Gli dicevo ‘non lo senti?’ E lui: ‘No'”. La pm gli chiede se avesse mai saputo che Alessandro possedesse veleno per topi per uccidere i roditori in una piazza di Milano dove andava a fumare dopo il lavoro. “Non lo sapevo”, risponde il fratello maggiore che con lui aveva il ruolo di “migliore amico”, confidente e punto di riferimento.
Martedì 30 maggio. Viene rilevata l’ultima ricerca “Invio programmato di messaggi whatsapp”. Compra un carrellino. Dalle 11.40 Impagnatiello non fa più rientro a casa. Quella notte le telecamere lo riprendono passare alla 2.37 in direzione di via Monterosa, dove il corpo verrà ritrovato 24 ore più tardi abbandonato in un’intercapedine avvolto in buste di plastica di colore nero e giallo legate da nastro adesivo. Passaggio all’inverso alle 2.44 del mattino.
Mercoledì 31 maggio. Viene convocato per i rilievi sull’auto e la copia forense del cellulare. Mentre attende in via Moscova, sede del Nucleo investigativo, cerca “come pulire tracce di sangue”. Il luminol brilla e immediatamente mostra tracce di natura ematica nel bagagliaio dell’auto. Il fascicolo passa a omicidio volontario. La sera stessa i rilievi scientifici in casa trovano tracce sul pianerottolo, alcune lavate in modo approssimativo. Il luminol brilla “a giorno” dice un investigatore. Il depistaggio di Impagnatiello si sgretola e mentre si accorge che è stato inchiodato dagli inquirenti viene convocato in caserma per il provvedimento di sequestro. Sono le 22. Parla perché
“messo con le spalle al muro”. “Non è stata una confessione ma un’ammissione” dicono i pm ricordando come anche durante quell’interrogatorio, e poi davanti al gip il 3 giugno e infine ai giudici popolari, abbia solo detto “menzogne”. Racconta che Giulia ha tentato un suicidio tagliandosi i polsi. L’autolesionismo viene escluso dall’autopsia. Poi cambia versione: si era fatta dei tagli involontari affettando dei pomodori. Afferma di averla colpita per non farla soffrire. Parla di “3 fendenti” e che lei ha tentato di difendersi.
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